La donna di Giodano Bruno

Sì, è ufficiale: sto diventando pesante! Lo so, ma non è che m’importi più di quel tanto. Comunque sia oggi mi sono imbattuto in una lettura che mi sfuggiva da anni e…beh, non ho resistito e vi posto un piccolo passaggio tratto dalla ORATIO VALEDICTORIA di giordano Bruno, dell’8 marzo 1588.

[…] La favola nota quel che avviene a me e ai più tra i mortali quando si tratta delle tendenze, del genio, della fortuna e della necessità di affrontare il destino. A Giunone attribuiscono il pomo gli avidi di potenza, ricchezze, principati, regni ed imperii.
A Minerva quelli che a ogni cosa antepongono il consiglio, la prudenza, la sapienza e l’intelletto.
A Venere coloro che abbracciano le amicizie, le compagnie, la tranquillità della vita, la bellezza, le giocondità e i piaceri. Ché in questa scena del mondo, anche se queste cose, tutte e ciascuna, sommamente piacciano a tutti e a ciascuno, è nondimeno sancito dal fato che non sia possibile servir egualmente e riverire tutti i numi di tal triade, e aspettarci, conseguentemente, da tutti egual favore. A un solo nume, non a tre, un solo aureo pomo del nostro amore (cioè l’affetto del nostro cuore), non tre pomi, potremo non invano consacrare.
Si ricordino dunque i Paridi della loro Venere, poiché col suo volto stellante, essa che è il piacere degli uomini e degli dèi, dissipa le nubi. Esaltino altri Giunone, che con Giove massimo regge l’universo. Io proclamerò, dal mio canto, qual lume e nume mi rifulse. Ma che proclamerò? Forse di lei vidi nuda qualche parte?
Forse ne contemplai la faccia, la fronte, la bocca, le guance, gli occhi, anche solo un po’ con uno sguardo furtivo?
Forse occhio mortale, di tanta bellezza, congiunta con tanta maestà, attentamente fissando, poté sostener lo splendore?
L’altissimo firmamento è la sua bellezza e nell’ornato del cielo appare la gloria, il sole sorgendo annuncia il giorno, strumento ammirabile, opera dell’eccelso: a mezzodì brucia la terra, e chi potrà resistere alla sua vampa?
Il sole, bruciando i monti e mandando raggi di fuoco erifulgendo triplicemente, coi raggi suoi acceca gli occhi.
Costei, guardandomi con torvo, minaccioso e sdegnoso volto, per farmisi riconoscere non Venere ma Minerva, massimamente m’avvinse, e tanto più m’attiro a desiderarla e amarla.
Giacchè quel che Venere fa con blandizie, essa compie senz’alcuna blandizia.
Ma perché dirai è schifiltosa questa vergine? – Perché – io ti rispondo – la sapienza non si concede così facilmente ed effusamente come le ricchezze e i piaceri. […]
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