Posto questo breve racconto scritto dal mio amico Fabrizio a proposito della sua partecipazione all’Ultra Trail del Monte Bianco 2006.

Ciao a tutti, come avevo detto già a molti di voi ho riportato in qualche riga la mia bella esperienza al raid intorno al monte Bianco di due settimane fa. Sperando di farvi cosa gradita vi allego il raccontino, che non vuole avere nessun tono autocelebrativo.

Mi auguro che qualcuno leggendo queste mie parole venga folgorato ed il prossimo anno sia nella piazzeta di Chamonix pronto a mettersi in gioco.

Buona giornata a tutti voi

Fabrizio

Giacomo Leopardi nel suo Sabato del Villaggio aveva ben messo in evidenza come l’uomo viva nella costante attesa di un evento: ed il Sabato, vigilia della Domenica di festa, viene vissuto nei preparativi con trepidazione e serenità. La Domenica è la conclusione di questo momento di attesa e non c’è più spazio per i sogni e le speranze, è il preludio della fine dell’evento tanto atteso ed ormai già prossimo alla fine. Il mio Sabato è durato ben otto mesi ed è iniziato agli inizi di Dicembre del 2005 quando ho deciso di iscrivermi alla UTMB. In questo periodo ho immaginato il momento della partenza, i paesaggi e le persone che avrei incrociato e soprattutto la fatica che avrei provato nel percorrere quei 168 km e 8500 m di dislivello intorno al Massiccio del Bianco.

Ma il sogno non si è dissolto alla partenza. La Ultra Trail du Mont Blanc è stata magica perché mi ha regalato la consapevolezza di vivere il

‘momento’. Dopo aver lasciato una piazza di Chamonix gremita

all’inverosimile di pubblico e partecipanti (ben 2500 partenti)

accompagnato dalle note dell’inno ufficiale della manifestazione e dal benevolo sguardo del gigantesco Mont Blanc ho capito che stavo vivendo un’esperienza indimenticabile ed intensa. Un senso di felicità che mi giungeva in tempo reale, proprio dall’attimo che stavo vivendo e non dall’attesa o dal ricordo. Mentre percorrevo i primi km nella bella foresta di abeti e faggi fuori da Chamonix ero felice ed estasiato da ciò che mi circondava e che stavo vivendo.

Velocemente mi ritrovo a Les Houches dove la gara entra nel vivo, si abbandona il fondovalle ed inizia la salita al cospetto dell’Aiguille de Bionnassay e del suo glaciale versante NW, una salita modesta ma che tuttavia viene affrontata con rispetto ed umiltà consci del fatto di ciò che ancora si deve fare. Dopo circa 600 m di dislivello, al Col de Voza, volto come di incanto ad occidente, ci accoglie un tramonto struggente preludio ad una notte serena che scaccia i dubbi sull’arrivo di un fronte perturbato. Nella discesa ci inghiotte la tenebra della foresta e migliaia di luci si accendono a segnare il percorso. Si oltrepassa Les Contamines e ci si allontana verso W dal Massiccio del Bianco e quando a notte ormai fonda giungo ai 44 km di Les Chapieaux un folla numerosa e festante mi accoglie nel paesino tutto luci e suoni per l’occasione. Un buon recupero e poi via nel buio e nel freddo della montagna verso il Col de la Seigne che conduce in Italia e riavvicina la gara al Bianco. Il percorso si fa più duro e più selvaggio, bisogna stare attenti ad una tortuosa discesa e a dove si poggiano i piedi ma nel buio della notte ho comunque la possibilità di distiguere l’arcigno ed elegante profilo della Noire du Peterey. L’alba mi sorprende in prossimità del Mont Favre e Courmayeur mi appare giù in fondo nella valle. Ci arrivo poco prima delle sette del mattino e sono contento di essermi lasciato alle spalle la notte e i suoi 72 km e 4000 m di dislivello. Sono piuttosto euforico e sto bene e penso che in meno di dodici ore ho percorso quasi metà del percorso, per un attimo accarezzo il sogno di stare sotto le trenta ore di gara. Un bel massaggio, una robusta colazione e riparto in una Courmayeur ancora deserta ed assonnata che stona con le luci ed la chiassosa accoglienza d’oltralpe. Il percorso non fa sconto e la salita al Refuge Bertone lo fa capire a tutti, poi via in un lungo traverso sul fianco orientale della Val Ferret splendido balcone sulle Jorasses. Tocchiamo il fondovalle ad Arnouva, ma solo un attimo poi si risale lungo l’erto sentiero che conduce al Grand Col Ferret porta di accesso alll’elvetico Vallese. La giornata è splendida e le montagne son tutte lì per noi immobili ed impassibili alle fatiche umane.

Si supera la fatidica soglia dei 100 km e si scende a La Fouly, qui il dolore al collo del piede sinistro non mi sussurra più come qualche km prima ma inizia ad alzare la voce. Proseguo anche se penalizzato da questo inconveniente lungo il fondovalle deserto e tranquillo. Una faticosa salita mi conduce a Champex-Lac bella stazione turistica elvetica. Un altro massaggio e poi via verso la erta salita che conduce all’Alpage de Boivine.

Qui il tempo, sino ad allora bello, si guasta e la pioggia inizia a cadere incessantemente e in men che non si dica son tutto bagnato. Stringo i denti e raggiungo la piccola postazione a circa 1900 m di quota dove mi riparo per un po dall’acqua e bevo qualche cosa. La massacrante discesa a Trient me la ricorderò per un bel po e mi lascia il segno: il dolore al piede e la gelida pioggia che mi sferza mi mettono duramente alla prova. Arrivo a Trient verso le 20 e 30 ormai quasi al buio e mi precipito subito al riparo. Iniziano i dubbi: 26 km di percorso e circa 900 m di dislivello mi separano da Chamonix, sono nulla rispetto a ciò che ho fatto, ma il dolore e la pioggia ingigantiscono il tutto e piano piano mi rendo conto che sono fregato. Mi preoccupa la salita a Les Tseppes nel buio e con questo piede su cui ormai non posso più fare affidamento. Vedo un bel po di gente che si ritira e sepur a malincuore pongo fine anch’io alla mia gara e subito mi sento meglio come sollevato da un impegno che ormai mi opprimeva come un macigno.

Come ho detto a tutti mi è mancata la ciliegina ma è stata un’esperienza indimenticabile e che mi ha arricchito. Ora aspetto solo Dicembre per riuscire ad iscrivermi per l’edizione 2007 e per incominciare un nuovo meraviglioso e lunghissimo sogno.

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