LAMBOPIZZA

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LAMBOPIZZA! Questo è il mio nuovo mantra e vi spiegherò il perché. Farne un hashtag è un attimo e peraltro chi li crea normalmente non bazzica propriamente alle altitudini dove osano volare le aquile nel mondo digitale. Fermi tutti! L’uso improprio del termine “digitale” presuppone un minimo di premessa etimologica, visto che – non so gli altri – ma io sono latino. Per la Treccani trattasi di “digitale agg. [dal lat. digitalis, der. di digĭtus «dito»]. – Del dito, delle dita; fatto, compiuto con le dita”. In pratica: 0 o 1. Se il dito è alzato è 1, altrimenti è zero. Direi che fin qui anche i peggiori anglofomorfi autoreferenziali annuirebbero rispetto al loro più povero “digit”.

Torniamo a noi! La percezione vigente poco si discosta dalla bacchetta di sambuco di Harry Potter, per quanto si dovrebbe trattare di tecnologia. Sì, c’è questa tenerissima percezione quasi fantastica rispetto a che AI (l’intelligenza artificiale) sia frutto di chissà quale segretissimo potere occulto che ci è stato donato senza alcuna spiegazione. Un dono del quale possiamo tutti godere senza che sia necessario addentrarci realmente nei dettagli di ciò che lo compongono. Una cosa tipo Far Far Away di Shrek in cui il perimetro di gioco è la magia e basta solo imparare alcune formule magiche e tutto avviene! Ci facilita la vita di ogni giorno, ci permette di concentrarci su noi stessi e su quanto sappiamo di essere meglio della macchina. D’altronde noi siamo unici, no? No! Sarà certamente colpa mia il non essere accomodante rispetto all’ennesima nuova moda ma in ambito tecnologico ho già vissuto troppe volte questa fulgida e naturale proprietà trasmissiva delle stronzate, per tacere.

No, non sto parlando di «Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire.». No! Io ho visto battaglioni di stagisti taggare a mano entità in file di testo complessi, disambiguando sostantivi e forme verbali da avverbi. Ho visto macchine ciclare per tante epoch prima di raggiungere l’overfitting della curva di apprendimento e poi essere ricondotte a matrici di confusione più sensate. Sì, quello l’ho visto eccome!

Ora, esattamente com’è avvenuto tanti anni fa con il far west dei social media, vedo ripetersi la storia. Temo, ma soprattutto credo e spero, sarà l’ultima volta in cui accade. Stavolta è diverso! AI è una responsabilità civile dell’essere umano, non è una moda o un’opportunità di business per darsi un ruolo professionale o aziendale senza una reale cognizione di causa. Certo, siamo ancora in hype (curva che sta per iniziare a decrescere tra molto poco, peraltro!) e le opportunità non sono solo legate al capirne un tantino di più rispetto agli altri. Quello è palesemente effimero e di breve durata.

Se AI fosse semplicemente una forma mentis o mindset che dir si voglia, allora forse sarebbe qualcosa da poter maneggiare senza alcuna padronanza della tecnologia che ne è alla base. Faccio un paio di esempi più concreti rispetto ai bias di oggi: “AI mi riduce l’attività manuale e mi permette di concentrarmi su quello che so fare meglio” vs “carico un paio di file a mano in un’interfaccia e ottengo quello che mi serve dopo un’ennupla di domande sempre più mirate e solo quel paio di file che ho caricato a mano!”. Oppure…”ho una base dati immensa e voglio estrarre valore dal lavoro di anni” vs “non so cos’è un token o come creare un embedding ma mi stupisco quando ottengo allucinazioni dalla macchina come risposte”. Tutto questo ci sta! Siamo solo arrivati al momento Hans Christian Andersen. Era prevedibile! Si sapeva da un pezzo che il Re era nudo ma alla fine andava bene a tutti.

Torniamo sul pianeta terra. Per fare AI servono pochi ingredienti per ottenere la pozione magica: tanto ferro molto vispo, tanti dati di qualità che non siano quelli comprati al discount, algoritmi open source che si possono eseguire localmente oppure tantissima competenza per creare embeddings che mandano chiamate precise a OpenAI e tanti piccioli per far felice OpenAI

LAMBOPIZZA

Oh, poi creare sistemi automatizzati o semi-automatizzati si può fare eccome! Peccato che si paghi tutto. Sì, perché stavolta si paga. Al di là del fatto che AI nasce a pagamento…c’è anche l’aldilà del pensare che lato utente (o consumer che dir si voglia) sia sufficiente imparare a parlare alla macchina per essere state of the art, come dicono i sopraccitati anglomorfi autoreferenziali. Eh no. In questa ref viene spiegato molto bene, da persone molto più qualificate del sottoscritto, che la pacchia sta finendo. La confezione assaggio ha ingolosito la massa ma tra poco arriva il conto. C’è chi fa AI e chi la subisce.

Non mi permetto di anticipare nulla rispetto al meraviglioso articolo di WSJ (cliccaci) ma, senza spoilerare, permettetemi di dare un senso a questo post. “Using AI to summarize an email is like getting a Lamborghini to deliver a pizza.”

LAMBOPIZZA, raga! LAMBOPIZZA!

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One Comment:

  • Luca
    at 1 year ago

    Ciao Christian, come stai ?? vorrei avere i tuoi contatti per chiamarto !!

    Reply

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